INTRODUZIONE
”Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, noi stessi diventiamo qualcosa di nuovo”, Leo Buscaglia.
Mai quanto oggi il contesto scolastico ha assunto un ruolo preponderante nell’ambito della crescita e dello sviluppo mentale dei nostri bambini.
Citando Locke, potremmo paragonarli a piccoli pezzetti di carta bianca imbrattati, nel corso del tempo, da scritti, scarabocchi ecc. , dall’ impatto quindi che il mondo esterno, familiare e sociale in genere, ha sulla loro formazione!
Il rapporto fra l’alunno ed il ruolo dell’insegnante, educatore di vita ancor prima che di conoscenza, ha acquisito nel tempo gli elementi propri della dinamicità, arricchendo gli elementi contenutistici, fondamenta per un ottimale sviluppo personale, con altrettanti elementi, stavolta dal contenuto relazionale ed affettivo, poiché l’apprendimento necessita, per esser tale, della sussistenza di un indispensabile presupposto da parte di colui il quale si accinge ad esercitare la professione del mediatore culturale del sapere.
Quale? L’ENTUSIASMO per il mestiere che svolge!!! Infatti il ricordo di un insegnante che ama il proprio mestiere resta indelebile nella mente dell’alunno anche nell’età più adulta. Provate a rievocare il ricordo di un insegnante a voi particolarmente caro…
La Pedagogia della mediazione, quindi, muta divenendo pedagogia del processo di comunicazione positiva altamente funzionale al conseguimento degli obiettivi che il sistema scolastico si prefigge di perseguire.
Per approfondire l’argomento in questione, riportiamo brevemente qui di seguito alcuni cenni sugli studi effettuati
- dal prof John Medina, tratti dal libro ‘’Naturalmente intelligenti, istruzioni per lo sviluppo armonioso del cervello dei bambini della prima età’’ , Bollati Boringhieri
- dalla Fondazione Centro di Orientamento, ubicata presso la città di Alessandria.
LODATE L’IMPEGNO, NON I QI
Ecco un esempio di come la scuola debba essere presente nel processo di formazione di ciascun bambino avendo la possibilità di interagire con gli ambienti primordiali che danno forma al loro essere.
Pur essendo un fattore predittivo, il QI di per sé non basta. A parità di condizioni, ciò che fa la differenza è l’impegno.
Il buon vecchio olio di gomito, l’esercizio mirato allo scopo. Sotto il profilo psichico, lo sforzo è, in parte, la volontà di concentrare la propria attenzione su qualcosa monitorando costantemente il proprio operato al perseguimento dell’obiettivo da voler raggiungere (…)
I genitori di Ethan non facevano altro che lodare le sue doti intellettive. <<Quanto sei intelligente! Puoi fare qualunque cosa tu voglia. Siamo fieri di te>> gli dicevano ogni volta che superava, senza difficoltà, una verifica. Pur con le migliori intenzioni, in questo modo ascrivevano i risultati di Ethan unicamente ad una sua innata capacità intellettiva. I
l piccolo Ethan imparò rapidamente che il risultato scolastico avrebbe definito le sue qualità. Quando iniziò le scuole superiori, si ritrovò alle prese con materie che richiedevano impegno. Non riusciva più a passare interrogazioni e prove scritte con facilità e, per la prima volta, iniziò a commettere errori, senza considerare tale difficoltà un elemento costruttivo di miglioramento: dopotutto, lui era intelligente perché riusciva ad afferrare direttamente i concetti. E se non ci fosse più riuscito, che avrebbe significato? Che non era più intelligente…
Dire : ‘’Siamo molto fieri di te. Ti sei impegnato molto’’ ha un impatto costruttivo in termini positivi in quanto sottolinea uno ‘’sforzo controllabile’’ anziché un talento immutabile.
LA MOTIVAZIONE E’ EDUCABILE!
Miei cari docenti, questo è il vostro più importante obiettivo poiché la motivazione sorge e si sviluppa per mezzo dell’interazione fra voi ed i vostri cari ‘’pargoletti’’, uomini di domani! Come per ogni atto educativo, l’impegno a motivare comporta la libertà nell’altro e dell’altro!
Possiamo considerare la motivazione come il processo che parte dalla spinta originata da un bisogno e conduce alla sua soddisfazione e questo bisogno deve essere alimentato dall’impegno che voi per primi impiegate quotidianamente nelle aule della più piccola o grande scuola.
OLTRE LA MOTIVAZIONE: IL PROCESSO DI VOLIZIONE
Il compito della scuola deve essere quello di incoraggiare ogni studente ad essere attivo, favorire il naturale bisogno di apprendimento, valorizzare le differenze, permettere il dialogo e il confronto delle idee, far nascere il rispetto di sé e degli altri basando il proprio operato alla stregua di un concetto di natura solidaristica. Rispetto all’accezione di motivazione anzidetta, la volizione è il processo in base al quale le nostre intenzioni si attuano! Il concetto volitivo è strettamente correlato quindi a quello di perseveranza , resistenza e sforzo.
COSA FARE
Il ragazzo che dice di non aver voglia di studiare, si pone e ci pone la seguente domanda: ’’A cosa serve lo studio? Perché dovrei studiare?” Non esiste una dimensione tecnica, contenutistica, relazionale-affettiva, univoca tra cui scegliere…
L’educazione implica sempre e comunque una relazione ed ogni intervento, per essere efficace, non può prescindere dall’ascolto empatico del soggetto. Gli studenti hanno bisogno di ‘’dare valore’’ alla loro esperienza di apprendimento e di conoscere e riflettere sul senso dello studio. Bisogna ora porsi una domanda, per uscire da eventuali ambiguità: ‘’La volontà è una dote morale? ‘’.
Alcuni la intendono così e la fanno coincidere con una caratteristica della persona nel suo complesso. In realtà il processo di volizione, come il processo decisionale, ha le sue strategie e le sue tecniche, può essere esercitato e addestrato!
Da circa un decennio l’attenzione delle ricerche sulla motivazione ad apprendere, verte sui contributi della teoria dell’attribuzione, che rappresenta un proficuo strumento di analisi della motivazione, in quanto la tendenza spontanea dell’individuo ad attribuire delle cause agli eventi, ossia il bisogno di comprensione presente in ogni individuo, può essere considerato una motivazione primaria, inoltre la motivazione è maggiore quando il soggetto tende ad attribuire all’impegno la riuscita nel compito e non alla fortuna…
Si avverte dunque, la necessità da parte degli insegnanti di rendersi consapevoli delle conseguenze che le loro stesse attribuzioni hanno sugli alunni. R. Mill e R. Ryan hanno delineato un modello di potenziamento reciproco, che presuppone esista, potenzialmente in ogni persona un nucleo positivo di motivazione ad apprendere e autostima, che emerge nel momento in cui i soggetti instaurano delle relazioni positive con gli altri e diventano consapevoli del loro modo di apprendere. Si dispiega allora la volontà, definita come innata motivazione, una condizione interiore di benessere in cui gli individui sono a contatto con la loro naturale autostima, e dell’abilità definita come una componente metacognitiva.
Gli studenti che fin da piccoli affrontano lo studio con entusiasmo, ossia sono in grado di utilizzare positivamente le loro emozioni, di potenziare le loro capacità, di fare progetti, di riflettere, di risolvere problemi e di sottoporsi anche ad una fatica per giungere a un fine, raggiungono risultati positivi.
POSSIBILI INTERVENTI
Negli anni, i ragazzi notano l’emergere della fatica, dello sforzo e dell’impegno; avvertono il contrasto tra il piacere di imparare e il dovere di studiare. Per superare questa difficoltà, l’insegnante può aiutare gli studenti a scavare nella propria interiorità per far emergere i bisogni di conoscenza, valorizzando il sapere come esperienza! Altri esercizi consistono nel far assumere un punto di vista positivo ai soggetti per incrementare la sensazione di fiducia. Vediamo insieme alcuni possibili suggerimenti da poter adottare…
- Può essere utile chiedere agli allievi di raccontare le esperienze passate che costituiscono un motivo di orgoglio e soddisfazione personale.
- Per rinforzare l’autostima è poi, opportuno valorizzare i lavori eseguiti dagli studenti, esponendo i risultati delle loro attività e lasciando delle tracce visibili delle abilità e competenze acquisite. Un ciclo di lezioni, un anno scolastico può così essere concluso con la realizzazione di un fatto concreto, di un saggio finale, in modo che l’allievo possa dire: “Io ho fatto questo”. L’insegnante può predisporre situazioni differenti che permettano agli studenti più “difficili” di manifestare ed esprimere tutto quello che sanno creare. Infatti l’aspettativa del successo stimola lo studente ad organizzare il proprio comportamento per conseguire più facilmente buoni risultati. Questo approccio può essere utilizzato anche con gli studenti più grandi, infatti il bisogno di autostima non è legato ad un’età.
- Migliorare la prestazione di coloro che abitualmente si preoccupano del fallimento.
E’ anche utile domandare agli studenti quanto trovino difficili le attività o se credono di poter completare i compiti. Quando uno studente risponde: “Io di matematica non capisco niente“, palesa tutta la sua sensazione di inadeguatezza. L’insegnante può intervenire dicendo: “Dimmi dove ti senti maggiormente in difficoltà. Quali sono le cose che ti sembrano più complesse?… ” ovvero permette allo studente un’analisi più accurata dei problemi, per arrivare a riconoscere zone di competenza e zone di incertezza: “qui mi sento bravo, qui no“.
- Gli studenti, per maturare un atteggiamento positivo verso lo studio, devono poter fare l’esperienza della propria competenza. Compiti molto facili non producono sensazioni di competenza. Per sperimentare una sensazione di competenza, gli studenti hanno bisogno di chiare informazioni. Per questo si consiglia di organizzare la propria materia in una sequenza di unità didattiche, concepite come gradini di avvicinamento alla meta.
Occorre, cioè, un’articolazione per obiettivi prossimali: gli studenti sono incoraggiati a definire obiettivi raggiungibili a breve termine. Gli obiettivi prossimali, possono aumentare le percezioni di competenza dando un continuo feed-back che comunica senso di padronanza. In quest’ottica ogni lezione è un passo avanti, un progresso che viene segnalato e riconosciuto.
- Un primo passo, per rendere veramente gli studenti partecipi consiste nel chiedere costantemente ai ragazzi di elaborare le proprie riflessioni o di esprimere le proprie ipotesi su quanto è stato presentato :”Voi che cosa ne pensate….“. Gli insegnanti possono trarre vantaggio dalle domande e dai commenti degli studenti per fornire informazioni supplementari o per sviluppare un argomento.
Spesso in classe capita di sentire commenti, che ad una prima impressione possono apparire come irrilevanti se non peggio, ma saper sfruttare anche questi, diventa una grande arma per coinvolgere anche i più apatici. Nel mezzo di una spiegazione sulla misurazione, l’insegnante di matematica sente un ragazzo che informa tutto contento al suo compagno di banco di avere delle magnifiche scarpe nuove, ultimo modello… Il docente potrebbe chiedere a lui e a tutti gli altri che misura di scarpe portavano e si potrebbe lanciare in una vivace discussione, immaginiamo con notevole apporto degli studenti, sul numero di scarpa come forma di misurazione.
- L’essere competenti in fatto di problem- solving, permette ai soggetti di fronteggiare con maggiore efficacia lo stress e le frustrazioni. Esso ha un impatto positivo sul rendimento scolastico, e secondo numerose ricerche, una correlazione con una minor probabilità di sviluppare comportamenti ansiogeni e devianti. Dal punto di vista didattico, utilizzare il problem-solvig, significa orientare l’apprendimento verso la soluzione di un problema. Significa abbandonare la solita lezione cattedratica, per proporre invece un problema che crea immediatamente una dissonanza cognitiva (tra ciò che si sa e ciò che ancora non si conosce). Per colmare l’interrogativo lo studente è spinto ad
elaborare più soluzioni in vista della risoluzione di una piccolo/grande difficoltà attribuendo, inconsciamente, una maggiore autonomia di scelta.
“Un insegnante che cerca di insegnare senza ispirare nell’alunno il desiderio di imparare sta martellando un ferro freddo“. Horace Mann

Angela S. è una ragazza che sta svolgendo studi giuridici presso l’Università di Bologna. La sua passione per la pedagogia l’ha spinta a scrivere in questo blog.